Il pesce a portata di click, i pescatori del porto di Catania a lezione di e-commerce

08 Set. 2015

 

 

Gli armatori della cooperativa Piccola pesca azzurra sono degli affezionati frequentatori dei corsi Civita, sin dal loro primo modulo sulla sicurezza. “La formazione sulle tecniche di salvataggio in mare, sulle norme sicurezza cui adeguare le barche, sulla sicurezza sanitaria e alimentare rivolta ai collaboratori, spesso giovani e padri di famiglia, alcuni extracomunitari, è fondamentale –racconta Biagio – Abbiamo scelto Civita perché studia e analizza i nostri bisogni e punta a farci acquisire nuove professionalità, che sappiano rendere ancora più prezioso e moderno il mestiere che ci hanno tramandato”.

Ma è il corso nell’ambito del piano Baroque che appare decisamente innovativo quello sulla commercializzazione dei prodotti ittici attraverso lo strumento di internet, altrimenti detto l’E-Commerce.

“Questa idea l’ho avuta sei anni fa pensando a un modo per diversificare e vendere il pesce on line, per farlo arrivare direttamente nelle case dei clienti con un click – spiega Davide – all’inizio mi prendevo in giro le persone mi dicevano che non poteva funzionare ma io ero convinto del contrario”. Un corso articolato in 38 ore di lezioni che ha dato l’opportunità ai pescatori di entrare nel mondo del web e di sviluppare in meglio il loro business. Molti di loro già consegnano il pescato nelle case private, in aziende e uffici. Il corso di e-commerce non ha fatto altro che traslare il modello su internet che oggi è il motore di tutte le aziende.

La loro storia

Per certi mestieri è questione di dna, li continui a fare se ce l’hai nel sangue. Se senti ancora il canto delle sirene accompagnare certe notti fredde e il suono delle onde che infrangono la scogliera spinte dal vento di tramontana come una musica lontana, se quando tiri la rete, sei costretto a rigettarla in mare e ricominciare daccapo con pazienza; è questione di dna, anche quando ti ritrovi un barcone di disperati in mare che con gli occhi ti chiedono aiuto e non puoi fare a meno di tendergli una mano, anche se qualcuno prova a dissertare il contrario.

Sono così i pescatori, silenziosi come la notte, ostinati come le linee che solcano il loro volto bruciato dal sole, forti come i calli alle mani, generosi come sa esserlo il mare, fatalisti come l’ultimo dei Malavoglia.

E’ questo è anche il mestiere del pescatore, da millenni sempre uguale, come a Muntagna, l’Etna, sempre là come una bussola affidabile a indicare la rotta, a presagire se le fatiche saranno ricompensate da una pesca abbondante. Eppure, per un’intera generazione di pescatori che si sono affacciati al terzo millennio, all’era di internet e ai mercati globalizzati, e con l’Unione Europea che sembra rendere la pesca ancora più complicata, tutto è cambiato.

Al porto di Catania la marineria locale è formata dalle stesse famiglie. Quella di Biagio, quella di Nino che ha messo tasca il suo diploma di geometra per continuare a fare quello che prima di lui faceva il nonno e perfino il trisavolo, ricurvo a rammendare la sua tela smagliata dopo ogni nottata, e quella di Davide che con la sua imbarcazione si spinge fino a Portopalo di Capo Passero nelle acque del Canale di Sicilia e poi corre alla pescheria dell’acqua o linzolu, tra gli Archi della marina e porta Saracena a vendere sui banconi i masculini da magghia, piccolo pesce azzurro simile alle alici, pescato con reti a maglie molto piccole. Insieme hanno costituito nel 2009 la cooperativa “Piccola pesca azzurra”. “Abbiamo fatto una squadra perché, proprio quando in mare ti ritrovi in mezzo alla burrasca – racconta Davide– bisogna stare uniti per far fronte alle difficoltà. Fino a sei, sette anni fa con due, tre mesi di dura stagione ci campavi la famiglia tutto l’anno, ora non è così”. Il problema resta legato alle restrizioni europee relative alla pesca delle specie migratorie come tonni e pescispada, che ha ridotto drasticamente il numero delle imbarcazioni autorizzate. “Per la Sicilia che vantava la più grossa flotta europea di spadare è stata una vera mattanza – spiega Francesco– poi ci sono le ulteriori quote non divise, quelle sulla pesca sportiva e la pesca col palangaro. “Il risultato è che i pescispada mi passano davanti, ma sono gli stessi che tra qualche settimana qualcun altro pescherà in Marocco e che l’Italia importerà, come avviene per il 60% dei grossi pelagici, una vera beffa”.

Eppure, certe cose sono cambiate in meglio, come la normativa sulla sicurezza e la formazione in generale. “Prima si rischiava la pelle oggi grazie ai corsi di formazione che stiamo seguendo con Civita, c’è una maggiore consapevolezza, c’è più attenzione, un nuovo passo verso un cambiamento di mentalità – dice Davide –Noi non ci arrendiamo, vogliamo essere più competitivi e possiamo esserlo solo se stiamo uniti, la frammentazione non ci dà voce e invece vogliamo vincere le nostre battaglie – sottolineano– e per rendere la nostra categoria più forte di fronte ai concorrenti europei e degli emergenti del bacino del Mediterraneo abbiamo bisogno di seguire anche dei corsi di aggiornamento”.